giovedì 13 dicembre 2012

It’s fun to stay at I-A-S-I

Fra un settimana dovrei tornare in Italia. Uso il condizionale perché qui c’è tanta neve, e se c’è troppa neve l’aeroporto di Iasi non funziona. Comunque sia, in questi giorni dove il pensiero della partenza è più presente, pensavo a quale fosse l’avvenimento più significativo di questi tre mesi, la copertina della mia prima parte dell’Erasmus. Pensandoci bene non ne trovo uno che sovrasta tutti gli altri, ma mi appaiono tanti eventi che rimarranno impressi nella mia memoria. Eventi più grandi come le gite, fatti assurdi come la lavatrice semovente, o divertenti come la giornata di pattinaggio sul ghiaccio che ho già raccontato in post precedenti in questo blog. Ma anche tanti avvenimenti più brevi che, tutti insieme, compongono il vero quadro dell’Erasmus. Perché l’Erasmus è soprattutto vivere giorno per giorno una realtà completamente diversa imparando a conoscere nuove persone, luoghi, abitudini, emozioni.
Ad esempio come quando, dall’aereo che decollava, ho visto Bari rimpicciolirsi sempre di più, o come la prima volta che entrai nella discoteca Underground trovandomi in una densa nube di fumo e scappando subito fuori per respirare. La festa a sorpresa di compleanno e la prima serata Erasmus con le ragazze di Torino e la coinquilina a base di pasta, pesto e tonno. La passeggiata a cavallo a Popricani e il viaggio di ritorno da lì in una “specie di taxi”. La folle corsa per bloccare il pullman davanti al Decathlon salvo poi scoprire che era quello sbagliato. Rispondere “Erasmus” alla domanda “Come ti chiami?” della professoressa. I test di medicina interna il venerdì mattina alle 7:30. Aver fatto incazzare un professore che per fortuna è del corso per Rumeni. Le cene tranquille (e a base di verdura) con poche persone e i pranzi velocissimi alla mensa dell’università con i compagni di classe. Trasportare con due amiche un’aspirapolvere il sabato sera al centro della città. Insegnare “Funiculì Funiculà” a gente di mezzo mondo. Prendere in giro, con un’amica, gli Erasmus Spagnoli dicendo che la loro Tequila è roba per bambini, per poi ordinare cioccolata calda con panna. E con la stessa andare in giro con un grosso tappeto sulle spalle e tossire fuori dalla finestra per il troppo sgrassatore in cucina, spaventando una famigliola che era in strada. Essere scambiato per un arabo per via della folta barba, l’amica di classe Italiana che mi aspetta finita la  lezione lamentandosi che sono sempre l’ultimo a prepararmi, il bel panorama di casette innevate che vedo dalla finestra della mia stanza, i cioccolatini Cuneesi, le serate culturali alla filarmonica, le passeggiate nel giardino botanico, provare la vera cucina Cinese, salutare alla stazione degli amici con cui sono stato molto bene sperando, un giorno, di rivederli.

Nella foto: una testimonianza della mia passeggiata a cavallo nelle campagne Rumene.

domenica 9 dicembre 2012

Sotto questa neve è bello pattinare si, ma c’è da cadere

Anche se non avevo mai calzato un paio di pattini, avevo colto con molto entusiasmo la proposta di andare a pattinare sul ghiaccio dopo l’università con tre amici di classe. Dopo le foto di rito per immortalare l’evento, ci buttiamo in pista. I due amici Israeliani “rompono subito il ghiaccio” facendo le prime, spettacolari, cadute. Così decido che è ora di staccarsi dal bordo e di iniziare a pattinare in modo spericolato. Il risultato è che mi sono divertito tantissimo, nonostante abbia collezionato forse il maggior numero di cadute mai registrate su una pista di pattinaggio. Sembravo di gomma perché mi rialzavo immediatamente, ma qualche volta, anche per riposarmi un po’, sono rimasto adagiato sul ghiaccio, godendomi questa nuova sensazione di libertà e spensieratezza. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, infatti una ragazza piuttosto carina che era lì a pattinare, impietositasi per i miei innumerevoli “squacciatoni”, viene vicino a me e mi dice: “Dammi la mano, ti aiuto io”. E così faccio dei giri di pista con questa ragazza, suscitando l’invidia degli altri pattinatori che iniziano a barcollare e cadere nel disperato e fallito tentativo di ricevere l’aiuto della ragazza. Il fascino Italiano anzi, Foggiano, è di un altro pianeta!
Il tutto mentre l’amico di Taiwan continuava a riprendere e fotografare le nostre acrobazie e cadute varie, ma questo materiale audiovisivo, così come altre cose, è stato fatto in Erasmus e resterà in Erasmus.

Nella foto: uno dei rari momenti in cui ero in piedi. Si noti sullo sfondo il maestoso Palazzo della Cultura.

venerdì 30 novembre 2012

Un po' di vaneggiamenti

Stamattina, per caso, ho raccontato a un amico di quando ho fatto l’autostop su un camion per tornare a Iasi. Sembrava come se gli stessi raccontando un fatto avvenuto secoli fa, un po’ come quando, col mio compagno di banco di liceo, rivanghiamo vecchi episodi di quando eravamo adolescenti che non interessano a nessuno e fanno ridere soltanto noi. Qualche giorno fa discutevo del Tempo con un’amica di erasmus, dicevamo che qui il tempo è come se si dilatasse, fatti avvenuti qualche giorno fa sembrano lontanissimi. E così sono andato a rileggere il post dove racconto della tre giorni di gite che si conclude proprio con l’ormai celebre ritorno in autostop su un camion. L’avevo pubblicato cinque settimane fa…e in queste cinque settimane quante ne sono successe! Rispetto ad allora è cambiato tanto: dei rapporti esistenti “all’epoca” alcuni si sono consolidati tanto, altri sono andati via via sciogliendosi. Ho cambiato idea su molti argomenti, ho cercato di apprendere il più possibile dai racconti che amici e colleghi di tutto il mondo mi hanno fatto dei loro lontani paesi. Ho avuto giornate dove tutto è andato storto, momenti di solitudine o di smarrimento in cui ho avuto nostalgia di casa e degli amici di sempre, ma anche momenti emozionanti e irripetibili che mi hanno confermato che l’Erasmus è stata la scelta più giusta che abbia potuto fare… Almeno fin ora! Qui ogni giorno è una storia a sé. A Foggia per cambiare qualcosa nella mia vita ci vogliono mesi. A Iasi basta un giorno. Ovviamente direte: “E grazie al cazzo! L’Erasmus così è!” Beh, è proprio per questo che ho sfidato le mie paure, in primis quella del’aereo, per venire qui. In un miscuglio di positivo e negativo è stata e sarà un’esperienza ricchissima che non dimenticherò mai.


In foto: il mio primo pranzo nella casa di Iasi. Naturalmente non potevo che cucinare pasta, pesto e tonno! Ma questo non è un semplice piatto di spaghetti. È uno spartiacque nella mia vita.

   


lunedì 19 novembre 2012

Sailing to Chisinau

La poliziotta di frontiera apre lentamente la cerniera della valigia. La ragazza è bianca in volto, la sua coscienza non è pulita, sa che presto potrebbe finire in un gulag. I suoi amici, che hanno già passato il controllo, trattengono il fiato guardandola forse per l’ultima volta. Fuori è buio pesto, si gela, la temperatura è già scesa sotto lo zero, o forse no, ora  non è la temperatura che conta: la poliziotta ha aperto la valigia, lancia una rapida occhiata alla ragazza terrorizzata, sposta dei maglioni e… vabbè questo è già l’epilogo dell’incredibile viaggio a Chisinau, la capitale della Moldavia. Per sapere come andrà a finire e cosa mai sarà nascosto in quella valigia, dobbiamo fare un salto indietro di circa dodici ore, quando io e due amiche partiamo alla volta di Chisinau per visitare la città e prendere un’altra amica che sarebbe atterrata lì.

Dopo soli venti minuti raggiungiamo il confine dove sostiamo per più di quaranta minuti per fare i vari controlli, ma alla fine ho finalmente  il mio primo timbro sul passaporto: Moldova, frontiera di Sculeni!
Dopo aver attraversato paesi non proprio ridenti come Ungheni, Romanovca, Sipoteni e Rassvet, arriviamo finalmente nella capitale. Appena scesi dal maxitaxi andiamo subito a cambiare i nostri Lei Rumeni in Lei Moldavi e io noto con piacere che su tutte le banconote c’è stampata la faccia di Stefan Cel Mare, che qui In Moldavia (sia la nazione, sia la regione della Romania) è amato più di Maradona a Napoli.
Usciti dal cambiavalute ci incamminiamo per strada senza una meta, ma ecco che, dopo nemmeno due minuti, incontriamo una ragazza di Chisinau, studentessa di Medicina, che le mie due amiche avevano conosciuto a un congresso. Gentilmente si offre di farci da guida. Una fortunata coincidenza davvero incredibile! Notiamo subito che Chisinau è una città molto bella, i tanti palazzi antichi dimostrano un passato nobile e ricco di cultura, e il presente è in netta ripresa: ci sono università, teatri, la città è pulita e ordinata. Tenuto conto che fino al 1991 era parte dell’Unione Sovietica, i progressi sono notevoli.
Raggiungiamo un altro studente di Medicina del posto, anche lui aveva già incontrato le mie amiche al famoso congresso, e assistiamo a un flash mob dove gli studenti delle varie università di Chisinau si sfidano a colpi di Gangnam Style! La televisione Moldava, che riprendeva la manifestazione, intervista anche una delle mie amiche che, in perfetto inglese e incitata dal giornalista, esprime il suo plauso per l’evento.
Abbiamo un po’ di tempo per visitare la città, e qui inizia il mio show personale. La mia Foggianità, tenuta a freno per due mesi, prende il sopravvento. Tiro fuori dallo zaino la mia sciarpa del Foggia che mi accompagna da sempre allo stadio Zaccheria, e costringo le due amiche Torinesi a farsi una foto insieme a me, sotto la maestosa statua di Stefan Cel Mare, mentre stringiamo fra le mani la mitica sciarpa rossonera. Una di loro viene immortalata mentre, reggendo un capo della sciarpa, ha una faccia molto molto imbarazzata, un’espressione che dice: “Vorrei che un fulmine mi colpisse in questo momento perché quello che sto facendo non posso sopportarlo un secondo di più.”
Mentre visitiamo la città, in un parco proprio davanti al Parlamento, ci imbattiamo in un simpatico orso con lo sguardo da fattone. Non perdo l’occasione, riprendo la sciarpa del Foggia e mi faccio scattare l’ormai celeberrima foto che troverete alla fine del post.
Dopo aver mangiato (tanto) in un ottimo ristorante, scopriamo che il conto l’aveva già pagato il gentilissimo amico Moldavo. E così, tutti felici e contenti, andiamo alla stazione dei pullman dove la nostra amica, appena atterrata dalla Grande Madre Russia, ci raggiunge all’ultimo secondo in modo rocambolesco. Sembra davvero tutto finito, perfino ci addormentiamo “cullati” dai sobbalzi del pullmino, quando arriviamo alla frontiera. La polizia Moldava ci controlla solo i passaporti. La polizia Rumena invece ci fa scendere tutti (col freddo che faceva) e ci fa portare i bagagli nell’ufficio per un controllo. E qui ci riallacciamo al prologo, in quella notte buia e tempestosa eravamo rimasti col fiato sospeso nel momento in cui la poliziotta sposta dei maglioni e trova niente popò di meno che una stecca di sigarette russe e invita la nostra amica a seguirla. Io già me la immagino in Siberia a spaccare pietre sotto la neve, quando io e le altre due amiche diciamo che quella stecca di sigarette è anche nostra, è collettiva, di tutti, una stecca comunista! Così la poliziotta, con aria benevola, ci lascia andare e possiamo tornare a casa a Iasi. Fa un po’ strano dirlo: tornare a casa a Iasi.

La famosa foto con l’orso e la sciarpa del Foggia:

venerdì 16 novembre 2012

La bomba più dolorosa

Qualche giorno fa, mentre dormivo beatamente in Romania, la mafia ha fatto esplodere una bomba davanti a un negozio di Cinesi a Foggia. Non vi dico lo shock la mattina dopo quando su facebook ho visto la foto del negozio distrutto e dei danni al palazzo. La bomba era davvero molto potente e per fortuna non ha fatto danni peggiori a persone e cose.

Questa bomba è solo l’ultima di una lunga serie di attentati, di omicidi, di rapine e di mille  atti delinquenziali che sono avvenuti nella mia città. Però quest’ultimo episodio ha scosso davvero tanto i Foggiani. È passata una settimana ma ancora ne parlano, la notizia è ancora sulle prime pagine dei giornali. Ma come reagirà la cittadinanza? Il modo migliore sarebbe alzare finalmente la testa, essere uniti e in pace prima con se stessi e poi con gli altri. Far vedere che Foggia non merita l’ultimo posto nella classifica delle città Italiane. E tutto questo partendo da piccoli gesti, dal classico non buttare la carta per terra al non imbrattare il muro della Cattedrale appena restaurata, da parcheggiare in modo più rispettoso a tenere a bada l’istinto di rubare una panchina appena messa in un giardino pubblico. E ciò significa soprattutto rispettare noi stessi. Perché a Foggia ci viviamo noi, è la nostra vita, non ci vivono quelli del Sole 24 ore che fanno la classifica, non ci vivono i parlamentari o l’alto comando della polizia. Se non iniziamo a prendere un po’ di coraggio e a ripartire dalle piccole cose, non arriveremo mai a combattere la mafia che mette le bombe!
Ma il Foggiano, si sa, è pigro e indolente. Si aspetta che il politico che ha votato non si comporti da politico, ma si comporti da mamma apprensiva trovando al bambinone un lavoro poco faticoso ma redditizio, una bella casa e tutti gli altri confort. Bravissimo nel dare sempre la colpa agli altri dei propri fallimenti personali, e come cittadini, bravissimi a dare la colpa a Bari, a Roma, al Nord, senza mai farsi un esame di coscienza e rendersi conto delle proprie responsabilità.
E quindi il Foggiano, dopo quest’ultima bomba, può anche definitivamente tirare i remi in barca e consegnarsi al potere dei più forti e più violenti. Accontentandosi come uno sciacallo di mangiare i pochi brandelli di carne rimasti su una carcassa di un’antilope, ma sempre con la paura e la tensione che il leone possa tornare da un momento all’altro, perdendosi così le cose migliori della vita, e accontentandosi che il Foggia vinca, una volta tanto, una pessima partita di calcio di serie Dilettanti. E questa non è una città viva, è una città che aspetta la morte. E, dopo tanti anni dove niente è cambiato, anzi è solo peggiorato, questa sembra la conclusione certa.
Però voglio lasciare uno spiraglio di luce, una flebile fiammella ancora accesa e spero che si avveri la prima ipotesi, che Foggia si dia da fare per tornare a essere una città vivibile. Ma Foggia sono anche io. E io per primo devo rimboccarmi le maniche e ripartire. Poi sarà il turno degli altri. L’impresa è ardua e non è detto che ce la faremo, però dovremmo cercare almeno di incominciare…
E questo vale davvero per tutti. Del resto, Foggia non è altro che una metafora della vita.